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Manifesto Contemporaneo

La minaccia più grande è arrendersi al disincanto mentre gli orizzonti si occludono quasi totalmente. Quasi, appunto. Se non fossimo più in grado di immaginare, e diciamo pure, sognare orizzonti diversi e possibili, allora potremmo definirci post-umani vaganti nel territorio dell’oltreumano, o forse del subumano.

Per fortuna, o purtroppo, a seconda delle attese di ognuno, questo momento non è ancora giunto, sebbene si lasci intravedere all'orizzonte: c’è ancora umanità nell'uomo?

Ovviamente nessuno possiede la risposta, ma ognuno può tentarne una. Due schieramenti si formano, quello del pessimismo fattivo che continua ad edificare palazzi, ma anche villini a schiera e case popolari, nell'orizzonte contemporaneo; e quello, numericamente molto inferiore, nascosto nelle catacombe dell’immaginazione, che si nutre delle radici dei possibili futuri.

Il problema è che sono inattuali queste sensibilità, è inaccettabile sognare un futuro diverso. Sicuramente è più semplice arruolarsi nell'esercito nichilista, i suoi orizzonti sono ormai ben tracciati, può vantare una tradizione ormai secolare. Lo schieramento dei sognatori combatte con armi di fortuna, usa l’astuzia, può procedere solo con piccoli attacchi simbolici; non arrendersi è il crimine che ogni sognatore commette e per il quale merita, almeno, la gogna pubblica.

Ma tutti i soldati del pessimismo, consapevolmente o meno, si arrendono pur credendo di combattere, gettano bandiera bianca convinti di portare il vessillo della rivoluzione. Ma è tutto una stanca ripetizione, potremmo essere già oltre.

Essi ci ricordano che una riconsiderazione radicale del nostro atteggiamento nei confronti del mondo andrebbe ricercata in profondità, e non sempre è facile trovare l’inizio-fine delle radici. Una nuova visione del mondo che, come tutte le visioni universali e generali, deve ripartire dalle piccole cose, dai particolari e dalle particolarità per poter intuire pensieri più grandi, al limite tra finito ed infinito. Ci vuole coraggio, oltre che sensibilità, per guardare nell'abisso degli orizzonti ampi; una vastità che può edificare lo spirito umano, ma può anche disperdere inutilmente le nostre energie, facendoci perdere l’orientamento sulla realtà e nella realtà fino all'orizzonte della follia. Ma è un rischio che qualcuno dovrà pur correre se vogliamo sopravvivere vivendo.

C’è bisogno di riedificare, di costruire realtà solide, forme durevoli e durature, che per quanto arbitrarie sono comunque essenziali per la vita umana.

Nella creazione di nuove forme finite miranti l’infinto, durevoli più della vita di chi le crea, è chiamata in causa anche l’arte, soprattutto l’arte. Chiamata ad uscire dal vortice dei non-sensi per tornare a produrre senso, un’arte che dovrebbe smettere di crogiolarsi nell'ovvia conferma dell’effimerità del tutto, nella banale resa all'insensata finitezza, per tornare al suo paesaggio proprio, in cui poter ammirare orizzonti che si aprono al di là nel tentativo di intuire l’infinito.

L’elogio dell’effimero, almeno in arte, si è inesorabilmente ammuffito; chissà se dalla necrosi dell’arte dell’effimero potrà nuovamente nascere una qualche solida durata. La durata dell’arte intramontabile a cui ogni vita finita può aspirare di partecipare. L’arte che nascendo dalla vita brevis la trascenda nella sua vita longa .

Nei nostri orizzonti quotidiani c’è bisogno di limiti, di direzioni di senso, di forme, di orizzonti liberi da contemplare che ci indichino la rotta, o per lo meno ci accompagnino nella nostra passeggiata di passaggio.

Milano, 22 Marzo 2018

Mattia Marchetti

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